Quando dici bufala pensi a due cose: una notizia falsa oppure pensi alla mozzarella di bufala, una delle eccellenze italiane nel mondo. È un prodotto dop, e sono conosciute soprattutto quelle campane. Ma è dop anche la mozzarella di un piccolo paesino che sta diventando famoso in Europa: Amaseno.
È un paese piccino, 4 mila anime, ma ha una prerogativa davvero unica: è il paese delle bufale. In questa valle, tra i monti Ausoni e Lepini, vivono circa 14 mila bufale. La produzione della mozzarella fa di Amaseno una eccellenza italiana, anche perché la zona è l’unica regione considerata dagli organismi europei di settore indenne da brucellosi, leucosi e tubercolosi. E se la mancanza di industrie era considerata una maledizione dagli abitanti del piccolo paese, oggi quella maledizione è diventata un’autentica benedizione: l’acqua e l’aria sono salubri, le bufale sono felici e producono un latte eccellente.
Da febbraio di quest’anno, il nome di Amaseno circola in Europa, nelle grandi superfici di distribuzione alimentare, sulle vaschette delle mozzarelle di bufala campana DOP.
“Ci sono voluti 15 anni di lavoro e molta azione di convincimento perché nessuno ci credeva, ma oggi cominciamo a vedere i frutti” – ci racconta Salvatore Rinna, il responsabile della Amaseno Società Cooperativa Agricola – “da febbraio 2020, abbiamo cominciato la distribuzione della nostra mozzarella in Europa, con il marchio L’Amasena”. Un gran bel successo per la Ciociaria, anche se nessuno ci credeva nonostante, fin dal dopoguerra, in tutti le analisi di economia e sviluppo della provincia di Frosinone si parli del potenziale del settore bufalino.
In Ciociaria, l’agricoltura è stata una “scelta negata” a beneficio dell’industria – che ha stravolto e inquinato il paesaggio locale – con gli investimenti della Cassa del Mezzogiorno.
Sono una trentina i soci che hanno fondato la Amaseno Società Cooperativa Agricola, la maggior parte dei quali sono dei centri attorno, Priverno, Prossedi, Villa Santo Stefano, Pontinia. Gli altri piccoli produttori di latte di bufala del territorio di Amaseno continuano, in modo individuale, un’attività con una più limitata espressione economica. Sono figli del “metalmezzadro” – come scrisse un noto sociologo – quell’operaio-ex-contadino che continua a mantenere il legame con la terra e con i pochi animali, non alienandoli ma continuando a dedicarsi alla coltivazione e all’allevamento nel tempo libero.
“Come si dice? Dalla crisi nascono nuove opportunità. Abbiamo assunto 14 giovani nel nostro caseificio che lavora circa 150 quintali di latte al giorno, – ci spiega l’ingegner Rinna – ma il potenziale è due volte maggiore. Se ci fosse una coesione territoriale, un approccio sostenibile da parte delle istituzioni e delle associazioni di rappresentanza agricola si potrebbe fare molto di più.”
In tempi di COVID, di contrazione economica, L’Amasena è un esempio felice. Anche se non è tutto oro quel che luccica. Il problema dell’inquinamento delle falde acquifere è una delle accuse mosse contro gli allevamenti. Tutte le stalle dovrebbero essere dotate di impianti che integrano diverse tecnologie per gestire in modo efficiente i reflui zootecnici, per andare dalla separazione liquido-solido al compostaggio della frazione solida, sapendo che questa scelta aiuterebbe gli allevatori e tutto l’ecosistema di Amaseno mantenendo quel marchio di qualità e distintività necessario per affermare nel mercato nazionale e internazionale la mozzarella di bufala di Amaseno.
Il cittadino, in questo caso l’allevatore, si ritrova a lottare da solo, a dover sopportare “oneri diretti e indiretti” per l’assenza di una classe dirigente, sia essa politica, imprenditoriale, manageriale, consapevole delle potenzialità dell’area e capace di coniugare in maniera proattiva tutti gli attori – gli stakeholders come si dice oggi – per poter fare il salto di qualità e salvaguardare allevatore, consumatore e ambiente. Da questa storia viene fuori, ancora una volta, come anche le associazioni di rappresentanza agricola siano parte strutturante di questo “gigantismo” amorfo. Per questo ha sorpreso la posizione di Vincenzo Del Greco Spezza, il giovane presidente di Confagricoltura di Frosinone che, recentemente, si è schierato pubblicamente dalla parte degli allevatori chiedendo che le istituzioni guardino con maggior attenzione al fenomeno produttivo della valle dell’Amaseno che è un pezzo importante della “biodiversità” produttiva della Ciociaria.
Scriveva lo storico Luigi Alonzi nel 1951, in Cioceria, Porta del Mezzogiorno: “La classe dirigente ciociara si sveglierà dal suo secolare torpore solo il giorno in cui avrà rinnegato le soluzioni paternalistiche e semplicistiche, proponendo in loro vece problemi meditati, derivante dall’esame severo e cosciente degli elementi economico-sociali che concorsero a determinare la specifica realtà della regione.” Poco è cambiato da allora e quel poco non certo per politiche sostenibili e scelte di campo trasversali, bensì a costo di sacrifici personali.
“Abbiamo fatto tutto da soli, con caparbietà e forse con un po’ di pazzia. Quando mio padre ha saputo che volevo diventare un allevatore di bufale e produrre mozzarella, ha detto a tutti che ero pazzo” – racconta l’ingenger Rinna – “finalmente oggi vendiamo in mezza Europa.”
Ma il successo ha un sapore amaro e, parafrasando il recente intervento pubblico di Vincenzo Del Greco Spezza, si deve lottare ancora affinché le istituzioni si rendano conto di quanto sia importante e necessario il successo della mozzarella di bufala di Amaseno per sconfiggere, finalmente, il paradosso storico della Ciociaria, “terra cercata e sempre assente”.
Articolo di Farodiroma
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